5, Febbraio, 2025

Storia di Abdherraim Anbra

Non gli era mai successo di dover bussare alle porte per chiedere aiuto. Non gli era mai capitato, nonostante di peripezie e vicissitudini Abdherraim ne avesse vissute tante in giro per l’Italia. Eppure gli occhi dei suoi figli, lo sguardo tenero e comprensivo della moglie, lo avevano convinto a non mollare. A cercare quel lavoro che aveva perso, qualcosa per cui spendere ore di sudore e fatica così da racimolare qualche soldo e portare a casa un pezzo di pane e – perché no? – un gioco per i bimbi. Alla fine è bastato bussare perché una porta venisse aperta, e insieme a questa una nuova storia, una nuova vita.
La vicenda di Abdherraim Anbra – marocchino musulmano di 47 anni, oggi residente a Lugo – è significativa di cosa produca la crisi economica, e di quanto siano importanti organizzazioni di sostegno ai poveri come quelle nate dalla tradizione cattolica. Abdherraim è in Italia da più di 15 anni, e di città ne ha passate fin troppe: Perugia, Cuneo, Alessandria, Asti, Bologna, Imola, Porretta Terme. Nel 2007 l’azienda metalmeccanica sulle colline bolognesi dove lavorava lo lascia a casa. «Non abbiamo più lavoro, ci dispiace» gli dicono i superiori. Lui non si perde d’animo, cerca altri impieghi di fortuna, fa sacrifici impensabili per sfamare moglie e figli. Ma a un certo punto capisce che non ce la può più fare, così prepara le valigie e porta la famiglia a Torino, a casa della cognata. Saluta tutti e torna giù in Emilia-Romagna, «perché lì conoscevo già qualcuno, e lì potevo trovare lavoro» racconta con la stessa fermezza e determinazione con cui prese quelle difficili decisioni. Arriva a Imola, «qualcuno mi suggerì di fare un giro verso Lugo, per cercare in estate un lavoro nelle campagne». Abdherraim si fida, particolare non secondario, e così per lui inizia un’altra storia che oggi gli fa ringraziare tutto e tutti.
«Quando sono arrivato a Lugo, qualcuno mi indicò di andare a bussare dal prete di Brozzi» dice. Detto e fatto, «mi disse che sarei dovuto tornare qualche giorno dopo, di mercoledì, e avrei dovuto cercare Cassiano». “Cassano”, come lo chiama Abdherraim, in realtà è Cassiano Tabanelli, lughese, presidente diocesano della conferenza di San Vincenzo. «Quando lo andai a incontrare – ricorda il 47enne marocchino – non stava bene, girava col bastone, eravamo nell’inverno del 2009. Ma nonostante questo mi portò subito a Villa San Martino, dove andai ad abitare per quindici giorni». La prima sistemazione che Abdherraim trova è quasi di fortuna, eppure già in quell’incontro con quella persona aveva intuito che c’era qualcosa di diverso. «Cassiano mi aiutava a cercare il lavoro, mi dava indirizzi di persone che conosceva, e io mi muovevo tutto il giorno in bici. Ho fatto vari lavori, di ogni tipo, fino a quando sono riuscito a trovare un’occupazione in un’azienda di Fusignano, dove da un anno e mezzo faccio l’operaio. È un’azienda edile che fa strade e case, io lì faccio un po’ di tutto, ma mi trovo molto bene». Abdherraim, che adesso vive in centro a Lugo con la famiglia, tutti i giorni va al lavoro a Fusignano in motorino, «anche quello me l’ha trovato Cassiano». I problemi non sono certo finiti, perché i soldi sono sempre pochi, e lui vorrebbe trovare un lavoro anche per la moglie. Ma quell’incontro con Cassiano Tabanelli e i volontari della San Vincenzo gli ha veramente cambiato la vita. «La cosa più bella è vedere che ancora oggi c’è gente così, come Cassiano, che ti aiuta – racconta con gli occhi lucidi -. Se ci sono ancora persone così, allora il mondo può andare avanti. Senza di loro non avremmo mai trovato niente, loro ci aiutano ma non sono come quelli che ti danno i soldi e poi basta. Continuano a venirci a trovare, sempre, i miei figli ormai li conoscono». Abdherraim è stupito, quasi incredulo di fronte a tutto questo. Per lui incontrare qualcuno che abbia deciso di aiutarlo in questo modo, senza limitarsi ad allungargli un pezzo di pane, è stato qualcosa di straordinario. “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita” recita ogni anno lo slogan del Banco alimentare: è proprio quanto è accaduto in questa storia vera perché umana, dove la carità cristiana emerge per quello che è: un amore gratuito e totale all’altro, chiunque esso sia. Di fronte a questo, di fronte al cuore dell’uomo che chiede felicità, non ci sono divisioni che tengano. «Non mi era mai successa una cosa simile, di dover bussare alle porte per chiedere aiuto – continua -. Ma non avevo più nulla, e quando l’ho dovuto fare sono stato contento di avere incontrato queste persone. Ve l’ho detto, Cassiano e gli altri volontari della San Vincenzo vengono sempre a trovarmi, parliamo come amici», e forse sono proprio diventati amici. «Ho saputo dopo che sono volontari cattolici, ma loro mi aiutano senza chiedermi o spiegarmi le cose della religione, lo fanno perché ci credono e mi vogliono aiutare per questo come musulmano non ho avuto alcun problema». Abdherraim quasi si commuove quando parla, ha il sorriso stampato sulle labbra, guarda i suoi figli di cinque e tre anni e dice: «Forse un giorno dovrò andare via da qui, forse loro cresceranno da altre parti. Ma io gli racconterò sicuramente che ci sono state delle persone qui a Lugo che ci hanno aiutato così tanto, quando diventeranno grandi lo dovranno sapere, glielo dirò sicuramente».

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