È uscito nei giorni scorsi il messaggio di papa Francesco per la prima “Giornata mondiale dei poveri” (non con o per i poveri) indetta per la 33ª domenica del tempo ordinario (quest’anno cadrà il 19 novembre).
Come di consueto, il papa ribadisce di non accontentarsi di dare l’elemosina a qualche povero. L’elemosina, dal greco, significa pietà, compassione, ma nell’uso comune del termine significa dare denaro ai poveri. Poiché, però, è Cristo stesso non solo all’origine del comandamento della beneficenza, ma è anche l’oggetto di questa beneficenza (perché è presente in ogni bisognoso), il papa dice di stare insieme a loro, di incontrarli e condividerne la vita. «Se vogliamo incontrare realmente Cristo – dice il messaggio -, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucaristia».
Il papa afferma anche provocatoriamente di «non pensare ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana».
Questa Giornata mondiale ci interroga allora sulla nostra cultura dell’incontro: ci impegniamo a sollevare almeno un povero, durante il corso della nostra vita, dalla sua condizione di emarginazione?
Aggiungo a ciò un piccolo consiglio: nei lunghi anni di servizio in Caritas ho visto tante persone di buona volontà spendersi in questa opera di voler risollevare qualcuno trovatosi, dalle circostanze della vita, in ginocchio. La loro opera, però, se isolata, non ha portato quasi mai a frutti duraturi.
Fare bene il bene non è cosa così semplice, per cui occorre che a fianco di queste buone persone vi sia una comunità ed un’organizzazione che li sostenga e li indirizzi. Donare poi denaro direttamente ai poveri (come ad esempio ai questuanti lungo le strade) è cosa pericolosa perché non si sa quasi mai chi vi sia ’dietro’ di loro.
L’esempio tipico è quello di tanti africani che chiedono una moneta sui nostri territori: la maggior parte delle volte alle loro spalle vi sono organizzazioni che sottraggono al povero la maggior parte dei proventi. Pertanto, per concretizzare il messaggio papale è meglio prendersi qualche minuto di tempo ed accompagnare il povero in un panificio o in un bar ed offrirgli qualcosa: non solo saremo sicuri di aver fatto una cosa buona senza alimentare mafie di alcun genere, ma ne trarremo vantaggio noi per primi perché si sa che… si ha più gioia nel dare che nel ricevere. Ascoltando storie di sofferenze, dice il papa, faremo «sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine».
Luca Gabbi, direttore Caritas diocesana
Aiutare i poveri vuol dire condividere la vita con loro
