Il Consorzio Ami (Conami) è la vera cassaforte economica pubblica del nostro territorio, che ogni anno distribuisce oltre otto milioni di euro ai 23 Comuni consorziati. È proprietario tra l’altro di reti acqua (3.680 km), gas (2.340 km), elettricità (4 centrali elettriche) e della discarica di via Pediano. È il secondo azionista del Gruppo Hera. Controlla o partecipa a dodici società di servizi locali.
Da oltre un mese il Conami è privo del suo consiglio di amministrazione, a seguito delle dimissioni di quattro consiglieri su cinque, presidente compreso. L’attività ordinaria dell’ente inizia a risentire di questo stato di cose, rallentando pericolosamente la sua azione di governo aziendale. Lo statuto del Conami (art. 26) prevede che il presidente e i consiglieri possono essere eletti solo se concorrono tutte tre le seguenti condizioni;
1) il voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno il 70% delle quote di partecipazione (il Comune di Imola da solo ha il 65%);
2) il voto favorevole della metà degli enti consorziati (12 su 23);
3) il voto favorevole dei Comuni consorziati che hanno in essere contratti di servizio con società partecipate da Conami e nelle quali non sono direttamente soci (Faenza, Medicina, Imola) Sino a pochi mesi fa la compagine politica di centrosinistra controllava in modo completo con i suoi esponenti la complessa procedura di nomina.
Dopo il 24 giugno 2018 le tre chiavi di accesso alla guida del Conami sono suddivise tra 5 stelle e Pd. Da sola la sindaca di Imola non può nemmeno presentare candidature (la proposta deve essere sottoscritta da almeno un quinto dei Comuni soci). Però senza il suo consenso non può essere eletto nessun consigliere né il presidente, perché tutti gli altri Comuni insieme hanno solo il 35% delle quote.
Un insieme di circostanze potenzialmente negative, che però consentiranno di cogliere in controluce lo spessore politico e istituzionale degli amministratori pubblici del nostro territorio, sospingendoli a trovare un punto di equilibrio per dotare il Conami di un consiglio autorevole e competente, il cui scopo non è galleggiare, ma navigare, evitando di premiare la fedeltà politica a scapito delle capacità. E possibilmente autoctono.
Sullo sfondo di questa vicenda si stagliano le elezioni comunali della primavera 2019, che riguardano la grande maggioranza dei Comuni soci. Però la legge elettorale prevede per quasi tutti loro l’elezione a turno unico, dove è sufficiente la maggioranza relativa dei voti e quindi il Pd parte avvantaggiato, a meno che un’alleanza o desistenza tra Lega e 5 stelle non ribalti la previsione.
Andrea Ferri