5, Febbraio, 2025

Il ruolo della politica

La politica è solita coniare nomi altisonanti ed evocativi per definire provvedimenti destinati a incidere nella realtà: e allora se si tratta di impinguare casse pubbliche esangui rastrella i tributi non pagati con un condono ma lo chiama “pace fiscale”, oppure dichiara guerra all’assenteismo negli uffici pubblici con una legge “anti-furbetti”. Un nominalismo 2.0. Ma ci sono scelte assunte per rispondere a un riflesso ideologico assai più che per reale necessità alle quali non si cerca neppure di dare un’etichetta presentabile. Se dovesse arrivare fino in fondo nei termini in cui è stato prospettato, il taglio progressivo del fondo per l’editoria fino all’azzeramento non sarebbe infatti un risparmio per le casse dello Stato ma una tagliola alla nostra libertà di informarci come meglio crediamo. Per capirci, e a scanso di equivoci: i governi precedenti all’attuale avevano già operato una riduzione del fondo da 180 agli attuali 60 milioni, che la maggioranza ha ora deciso di estinguere. E se il dimagrimento operato sin qui è stato almeno in parte giustificato dalla necessità di tagliare rami secchi, ovvero pubblicazioni che giustificavano la loro presenza per l’incasso dei soldi pubblici, con diffusione fittizia e contenuti improbabili, ciò che resta del sostegno pubblico a giornali e periodici è lo stretto necessario – e anche meno – per non far sparire le voci del territorio sotto il peso di costi abnormi pretesi dallo stesso Stato, che fa pagare servizi dei quali non cura l’efficienza (la consegna puntuale delle copie in abbonamento). Solo chi è del tutto digiuno di questioni editoriali ignora che per sostenere le spese di un prodotto editoriale alle cui spalle non ci sia un gruppo industriale o una grande azienda non sono sufficienti i ricavi da vendite e pubblicità. E se la libertà è un bene di rilievo costituzionale, allora lo Stato deve sentirsi impegnato a tutelarla non solo a parole. Il “risparmio” di un pugno di milioni, invece, rischia di tradursi nel soffocamento del pluralismo, nella cancellazione di posti di lavoro, nel silenziamento delle voci più piccole, quelle radicate nelle comunità locali. Come se si sancisse per legge che hanno diritto di vivere solo i media che esprimono grandi interessi e che hanno la forza economica per competere su uno scenario nazionale. Ma non basta. Il colpo di spugna sull’attuale criterio per la spartizione del fondo – la riconducibilità della testata a una realtà senza scopo di lucro – suona come una rozza offesa alla vitalità del non profit che pompa sangue fresco nelle periferie territoriali, sociali ed esistenziali dove lo Stato ha da tempo alzato bandiera bianca. Quello stesso Stato che ora vorrebbe chiudere d’imperio chi dà voce a questa parte vitale del Paese, mostrando di non capirne il valore o forse di temerne la libertà, a cominciare da quella della stampa diocesana. E allora, questo non è un provvedimento per risparmiare: questa è una legge “spegni-coscienze”.

Francesco Ognibene – giornalista di Avvenire

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