Personalmente non sento il pericolo di invasioni straniere. Sì, tengo molto alla mia cultura e alle mie tradizioni, al modo di fare, di parlare e di pensare della mia gente. Ma la dissolvenza la vedo più nel cervello chino sullo schermo di un telefonino che in una nave che porta qualche decina di disperati. Non mi infastidisce un ragazzo di vent’anni che infreddolito mi chiede due spicci davanti ad un negozio. Qualche volta glieli dò, per il resto ci salutiamo cordialmente. I miei figli non temono di uscire la sera né io per loro. Non considero dietro l’angolo il rischio che mi uccidano, mi intimidiscano, mi minaccino. In tutti questi casi, tranne il primo, per ovvie ragioni, mi rivolgerei alle forze dell’ordine convinto che loro saprebbero cosa fare. Furti e rapine ci sono e vanno contrastati. Se mi fanno una multa “azz!!!” ma hanno ragione loro. Mi spaventa chi guida distratto mentre manda un sms, mi preoccupa l’inciviltà. L’auto parcheggiata in seconda fila per scaricare in fretta e furia i figli davanti a scuola, “tanto facciamo presto”. La cartaccia gettata dal finestrino, la pupù del cane sul marciapiedi. Mi inquieta il cattivo esempio, perché pezzo per pezzo costruisce un futuro che non vorrei. Più che sui diritti insisterei sui doveri.
Li abbiamo dimenticati, mentre i primi li conosciamo benissimo. Vogliamo essere al sicuro? Insegniamo che è il rispetto delle regole a rendere eccezionali e unici, che a prendere la strada breve e priva di sacrifici sono capaci tutti, che il più furbo non è quello che vive come se gli altri non esistessero ma chi calibra le proprie azioni sul vivere comunitario, che ad avanzare è chi cede il passo e non colui che sgomita per passare avanti. Perché così facendo non abbiamo nulla da temere, oggi e soprattutto domani.
Stefano Salomoni, vice-direttore
