Tra Scilla e Cariddi


trenta anni appena compiuti, Marco Panieri è il più giovane sindaco di Imola dal secondo dopoguerra, dopo Veraldo Vespignani, che entrava nel palazzo di piazza Matteotti il 16 giugno 1951, pochi mesi prima di giungere alla stessa età (era nato il 9 agosto 1921). Il compito che lo attende è veramente improbo e irto di difficoltà, che affondano le loro radici in epoca di gran lunga antecedente al tormentato periodo della giunta Sangiorgi, scaturita dall’onda di un voto popolare che chiedeva un radicale cambiamento, con un impeto che solo persone sprovvedute o in mala fede potevano definire inaspettato o sorprendente. Un’esperienza si giudica dai risultati. Quell’esperienza non ha sortito i risultati attesi, ma non è questa la sede per valutarne le cause, sebbene sia molto importante farlo, senza infingimenti o falsi pudori. Senza identificare le cause non è possibile individuare i rimedi. Il nuovo timoniere del Comune deve tracciare la rotta della nave cittadina per il prossimo quinquennio, e come Ulisse si troverà da subito tra Scilla e Cariddi, cioè a prendere decisioni in cui sarà sottoposto a opposte pressioni, e come l’eroe omerico potrà superarle solo mantenendo il timone in equilibrio, evitando di cadere nelle mani sia di chi risucchia (Cariddi), sia di chi dilania (Scilla). E dovrà fare questo in una situazione con molte ombre, ma anche molte luci, che la pandemia tuttora in atto non riesce a spegnere. La maggiore insidia da superare è tra chi vorrebbe cancellare ogni traccia della precedente gestione amministrativa, illudendosi che rimosso il sintomo sia rimossa anche la causa, e chi invece ritiene di trovarsi davanti a una restaurazione in piena regola, dove il vecchio sistema di potere si è auto praticato un lifting con il volto giovane e fresco del nuovo sindaco, per potere continuare indisturbato nelle prassi precedenti. Due rischi potenzialmente esiziali, che lo accompagneranno per tutto il mandato. La prima cartina di tornasole è la scelta delle persone (assessori, dirigenti e vertici degli enti), di nomina o designazione comunale, cioè del sindaco. La politica democratica è fatta di equilibri ed è ovvio quindi che nella scelta della squadra il sindaco deve tenere conto del risultato delle liste che lo hanno appoggiato; meno scontato e anche discutibile è l’automatismo tra avere raccolto molte preferenze e divenire assessore: se tanti elettori hanno espresso con il loro voto la volontà che alcuni candidati divengano consiglieri comunali, non è contradittorio che proprio quelli più votati lascino subito il loro seggio per ricoprire altri incarichi? È invece importante che il sindaco scelga sulla base delle competenze, dell’esperienza pregressa, ma anche della capacità di produrre risultati e di innovare, senza cedere né a Scilla né a Cariddi.

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Andrea Ferri
Direttore Il Nuovo Diario Messagero

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