Quando questa brutta storia sarà finita, perché prima o poi finirà anche se non sarà andato tutto bene come leggevamo sui balconi un anno fa, quali immagini rimarranno, incancellabili, nella nostra memoria? Me lo sono chiesto ben sapendo che la potenza delle foto è superiore a quella di qualsiasi parola. Certo non potremo mai dimenticare le tragiche immagini dei morti, degli intubati, ma anche le mascherine, le file in farmacia e ai supermercati, gli scaffali semivuoti, le corse ad accaparrarsi guanti di plastica e disinfettanti. Ognuno di noi avrà però un proprio album personale e nel mio ci sarà spazio anche per un paio di immagini insieme malinconiche e di speranza. La prima è quella del nastro biancorosso che ingabbia le giostre dei bambini. Mi sono immaginato da piccolo, pensieroso e interdetto davanti a quella proibizione, e ho pensato a come l’avrei vissuta. Certo mia madre me l’avrebbe spiegata con le parole giuste e forse esagero io, adesso, in età da pensione, a pensare che quello sia davvero un problema. I bambini hanno tante risorse.
Ma resta una privazione e nel pensarci mi è venuta in mente un’altra cosa: le giostrine sono immortali. Sempre uguali, sempre le stesse, anche nell’epoca dei tablet e delle playstation: lo scivolo, l’altalena, il girotondo esercitano ora lo stesso fascino degli anni Sessanta, quando non vedevo l’ora che i miei mi portassero a Bambinopoli, nel cuore delle Acque Minerali, per salire sulla macchinina rossa a pedali. Dunque la privazione del gioco, della socializzazione con altri bambini. Assieme a quella dello studio che adesso con una formula asettica definiamo “in presenza”, sostituito dalla “didattica a distanza”, quella sì davvero asettica. Tutto questo avrà certamente conseguenze a qualsiasi livello dell’età scolare, che si riverberanno sull’età adulta, sulla crescita culturale e sulle opportunità di lavoro e di vita di una generazione, quindi sulla qualità della società. Ma allora perché all’inizio parlavo di immagine malinconica eppure di speranza? Perché è anche partendo da qui, da quel bambino che osserva interdetto le giostre recintate, che deve nascere un progetto di futuro. Adesso, in piena pandemia. Non c’è tempo da perdere. A Imola come a livello nazionale. Un progetto che riguardi la scuola ma non solo quella. La lotta alla povertà ad esempio. E poi l’ambiente, il lavoro, la cultura. Non mi lancio certo in consigli, quelli li lascio ai tuttologi dei social. Dico soltanto che l’emergenza del presente non deve far dimenticare, in primis alla Politica (la P maiuscola è voluta), di mettere in campo, proprio ora, idee di ampio respiro. Già, ma la seconda immagine? È quella di un inglese di nome Brandon seduto su una panchina di fianco al ponte di viale Dante, con un tablet sulle ginocchia e le orecchie tese a catturare i rombi della Formula 1. In tasca aveva un biglietto di tribuna ma nessuna possibilità di entrare. Eppure era venuto lo stesso a Imola, spinto dalla passione, dalla voglia di esserci, e nelle sue parole non c’è stato nemmeno un pizzico di rammarico, nessuna lamentela, nulla. Lui era comunque contento. Ecco, credo che nel vivere il presente e guardare al futuro, anche in questo periodo così duro, dovremmo prendere almeno un po’ esempio da Brandon, noi che spesso tendiamo a dimenticare la nostra grande fortuna, quella di essere nati dove siamo nati, minuscolo privilegiato puntino del globo terrestre.
Maurizio Andreoli
giornalista