L’approssimarsi della conclusione di un anno scolastico così particolare ci porta inevitabilmente al bilancio dei risultati raggiunti da questa macchina ciclopica, la scuola italiana, lenta in condizioni di normalità, figuriamoci nella situazione determinata dalla diffusione del covid. Un anno a cavallo fra l’esplosione della pandemia e la speranza di ripresa, contando sulla veloce capacità della ricerca scientifica di rendere disponibili i vaccini, unica arma in grado di farci superare una situazione mondiale drammatica. In questo clima di sopravvivenza ha preso sempre più forma una vita precaria, fatta di strategie per sottrarci all’attacco del virus. Tutti i settori in cui si svolgono le attività economiche, lavorative, ma anche relazionali e sociali del nostro mondo sono stati sottoposti a una pressione inusuale. La scuola non ha potuto sottrarsi a questi eventi e molto faticosamente ha cercato una forma di “resilienza”, di “accomodamento” non facile, complicata per chi l’ha vissuta dal di dentro, a volte non compresa neanche dalle stesse famiglie, nonostante la parvenza di normalità delle poche regole sopravvissute alla necessità di fronteggiare il diffondersi della pandemia.
Nel corso di questo travagliato anno scolastico, l’adozione delle fondamentali precauzioni per limitare al minimo i rischi di contagio, ha fatto emergere diritti (allo studio, alla salute…) in aperto conflitto, costringendo l’organizzazione scolastica a soluzioni difficili per evitare che il virus penetrasse negli ambienti chiusi. Soluzioni apparse subito parziali, come i distanziamenti, lo svuotamento delle aule, l’adozione di banchi monouso, l’attenzione spasmodica a tutte le possibili modalità (perfino la quarantena imposta allo stesso materiale scolastico!), l’uso delle mascherine anche per i più piccoli per l’intero orario di lezione. Si è trattata di una complessità organizzativa a cui nessuno ha potuto sottrarsi, per assicurare la frequenza agli alunni limitando i rischi della convivenza. Le prime settimane di scuola hanno confermato il peggiorare delle preesistenti differenze fra gli alunni sui piani dell’apprendimento e della formazione, per come si era svolto l’anno scolastico 2019/20. Il divario sarebbe stato colmato, si diceva allora, assegnando alle scuole un organico-covid in più, provvisorio e precario, come gran parte del personale scolastico. Non sapevamo che il tempo per pareggiare le differenze fra gli alunni era ancora lontano, che anzi nei mesi successivi quelle differenze sarebbero aumentate. Aperti i cancelli, si sono avvicendate settimane di attività didattica stravolta dal distanziamento, dalle presenze in classe saltuarie perchè condizionate dalle inevitabili quarantene degli alunni e degli insegnanti stessi, che a mo’ di scacchiera, si alternavano in presenza e a distanza, costringendo a far uso in contemporanea di due opposte modalità didattiche, con pc di classe per lo più obsoleti, mentre le connessioni, ora da casa, ora da scuola, andavano e venivano, allo stesso modo dell’attenzione ballerina degli alunni condizionati dal clima circostante, costretti a stare nei banchi anche per la merenda e per la ricreazione, a limitare perfino l’uso del bagno e la dimenticanza di una biro non poteva essere superata dal prestito del compagno, come ai bei tempi, quando la normalità appariva anche troppo stretta. Le precauzioni attivate non hanno impedito il diffondersi del contagio e la chiusura totale del servizio a metà anno, anche per le scuole dei più piccoli, dall’infanzia alla primaria, fino alle prime due classi delle secondarie di primo grado. Ci siamo arresi tutti alla faticosa “dad” e abbiamo chiuso i cancelli. Un ulteriore bel colpo alla scuola! Ci sembra poco tutto questo, quando noi a casa facciamo fatica a seguire nei compiti uno o due bambini contemporaneamente? Non è stato facile per gli insegnanti, nè per i bravi, nè per i meno bravi, a cui è stato chiesto, poi, nel successivo dicembre, di fronteggiare anche la riforma della valutazione, pretesa non modesta e non urgente, una riforma importante e imponente che l’incapacità e l’insipienza politica non è riuscita a mettere in pausa con una legge speciale. Una riforma assolutamente inopportuna per l’emergenza in atto, in quanto richiedeva e distraeva l’attenzione degli insegnanti, non ancora completata l’implementazione del registro elettronico, costretti a conoscere, formarsi, applicare le nuove direttive per la valutazione degli esisti degli apprendimenti. Chi vive nella scuola sa bene che anche la migliore delle novità può venire vanificata dall’enorme complessità delle leggi e regolamenti cui deve sottostare. Un groviglio di burocrazia da cui nessuno riesce a liberarsi e che fa annegare anche la più disinteressata voglia di miglioramento, di un orizzonte da cui l’alunno, con la sua crescita intellettiva, relazionale, psichica, possa decollare, senza perdersi come un pallone pieno d’aria in balia dei venti, nonostante la volontà, la preparazione, le competenze degli insegnanti, anche dei più bravi (nonostante i meno bravi!), che scegliendo di insegnare sono diventati protagonisti nel destino di ciascuno degli alunni in carico. Ma, il pachidermico carrozzone chiamato SCUOLA, alla seconda “riapertura dell’anno scolastico” a metà aprile scorso, si è ritrovato a dover fare i conti (con la fine dell’anno scolastico ormai imminente) con una ulteriore grossa problematica da affrontare e risolvere in fretta: lo Stato, per recuperare i dislivelli, per colmare le differenze ormai evidenti fra gli alunni e e sollevarli dalla fatica della dad (anche quella delle famiglie, di quelle sopravvissute alla pandemia!), “amplia e sostiene” l’Offerta Formativa, con risorse economiche non piccole, a fronte però di specifiche iniziative per “l’aggregazione, la socialità e la vita di gruppo”, da attivare nei mesi estivi a richiesta delle famiglie, ma da progettare subito, nel mese di maggio! Piove sul bagnato, nel momento più delicato dell’anno scolastico, quello delle sintesi, della conclusione, in cui tutti hanno bisogno di fare il punto sul lavoro svolto. Gli insegnanti, già stravolti e in un ulteriore bagno di burocrazia, sono chiamati a redigere questi progetti estivi, anche se non obbligati a svolgerli, pena la perdita per la scuola delle risorse finanziari previste. Quanti saranno i collegi dei docenti che accetteranno (possono anche decidere di lasciar perdere!) anche questa ulteriore scommessa, così che le risorse economiche entrino nelle casse della scuola e diventino un’opportunità (30 ore per classe, poche briciole!) per gli alunni che lo vorranno? Non importa quali, se i più disastrati o quelli che certe opportunità estive le ricevono già dalle proprie famiglie. Intanto, anche per il prossimo anno continueranno le “classi pollaio” (minimo 27 alunni, massimo 30!), come indica la nota ministeriale del 12 nov. 2020, nonostante le promesse fatte nei giorni caldi della pandemia! Potevamo fare meglio? Potevamo fare di più? Certamente si. Ma questo non ci impedisce di immaginare cosa sarebbe stato dei nostri più piccoli se i cancelli delle scuole non fossero stati aperti, quale immenso e forse irreparabile danno sarebbe stata per la loro crescita e il loro sviluppo l’impossibilità delle relazioni, anche se distanziate, coi compagni e cogli insegnanti, la rinuncia ad un apprendimento in presenza, anche se frazionato e faticoso. Perchè a casa, in dad, ne lasciamo indietro troppi! Ora, a fine anno scolastico, il secondo dall’inizio del covid, è il tempo dei ringraziamenti per chi nella scuola ha lavorato nel pieno della pandemia, ammalandosi anche (e nel nostro territorio ne abbiamo avuti tanti!), ma riuscendo a tenere aperti il più possibile i cancelli ai nostri bambini e… al nostro futuro.
Doranna Montefusco Fuzzi
già dirigente scolastico