In questi giorni ho iniziato a leggere la Divina Commedia, commentata dal professor Nembrini, per un compito scolastico. Il canto che, finora, più mi ha colpito è il III, nel quale Dante si trova nell’Antinferno e incontra gli ignavi, coloro che non si trovano in Paradiso, in Purgatorio e neanche all’Inferno. Non li vuole nessuno e invidiano qualsiasi cosa. Dante chiede quindi alla sua guida, Virgilio, perché siano ridotti in quella condizione, ed egli gli risponde che gli ignavi sono persone totalmente dimenticate, che hanno scelto di non far niente, di non prendere decisioni, di essere invisibili. Tutto ciò per paura di sbagliare, fare male, scegliere male, decidere male. Dice che è stato il timore a farli cadere in quella condizione. In seguito, Virgilio spiega a Dante che Dio non punisce chi commette un errore, anche i santi sbagliano, ma chi non prende iniziativa, chi non lotta per nessun valore, chi non lotta per niente. Un ignavo è una persona sola, che non si pone domande e vive come se niente fosse di sua responsabilità. Dante è molto crudele nei loro confronti, infatti Virgilio gli dice: «la lor cieca vita è tanto bassa», gli raccomanda di non perdere tempo con questi spiriti e, infine, afferma che anche i maggiori peccatori innanzi a loro avrebbero motivo d’orgoglio. Anche noi, io per primo, ci comportiamo come gli ignavi, forse per paura. Molte volte infatti avrei potuto fare un intervento, ma non l’ho fatto, preso dalla paura di sbagliare, dalla convinzione di non saper parlare in pubblico. Paure e concezioni false, perché Dio mi ha donato tanto, mi ha dato talenti, capacità, un popolo in cui crescere (Gs). Dio ha fatto tanto per me, ha fatto tanto per ognuno di noi, e se un essere gigantesco come Lui fa tanto per essere piccolo come noi significa che siamo degni di ciò che fa e che dobbiamo donare ciò che Lui ci dona. Anche lo stesso Dante, all’inizio, voleva rifiutare di intraprendere il cammino, ma Virgilio gli ha ricordato che per lui si è mosso il cielo intero. Se il cielo intero desidera far compiere quel cammino a Dante, un motivo c’è. Se Dio ci ha donato tanto, un motivo c’è. Ma ciò che Dio ci dona non può rimanere isolato, va donato agli altri, il nostro Io è per gli altri. Il personaggio mitologico Narciso è morto perché era una persona isolata, dedita solo a se stessa, e ha tenuto per sé ciò che poteva donare agli altri, annegando per questo. Proprio Caravaggio, commentando l’annegamento di Narciso, disse che il nostro Io è per gli altri e che non ha senso limitarlo solo a noi. Don Giussani disse: «Chi ha il dono della fede ha il dovere di donarlo!». E a ricordarcelo è don Julian Carron, che nella sua lettera di dimissioni da presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione ha scritto: «Questo porterà ciascuno di noi ad assumersi in prima persona la responsabilità del carisma». Cl non si è diffusa grazie al solo don Giussani, ma grazie alla testimonianza e al dono dei suoi membri. Tutti dovrebbero vivere un’esperienza del genere. Cl è nata in un momento di perdita, quei sessantottini hanno smesso di essere cristiani perché era solo una banale e abituale formalità. Il carisma di don Giussani, che è spirito santo, ha fatto riscoprire la carnalità della cristianità. Il cristianesimo non è pura forma, ma un qualcosa che possiamo toccare con le nostre mani, che puoi provare sulla tua carne. Cl non si basa su “belle parole”, ma su esperienze reali, cristiane, ecco la carnalità, ecco la vera cristianità. Come ho detto prima, io stesso sono un ignavo. In questi ultimi mesi, almeno, mi sono comportato così, ma Dio ha donato talenti anche agli ignavi. Quindi abbiamo il dovere di prenderci le nostre responsabilità nei confronti del carisma, dobbiamo donarlo, proprio come fece don Luigi Giussani.
Andrea Tortora
* studente del Liceo Scientifico opzione Scienze Applicate – classe 1ª Bsa
Ricci Curbastro – Lugo