Ancora una volta, nell’imminenza della celebrazione del Santo Natale siamo messi davanti alla più straordinaria, consolante, inattesa – per quanto corrispondente al cuore – notizia, che la storia abbia mai ricevuto: Dio si è coinvolto carnalmente con noi, mostrandoci visibilmente il suo amore e la sua tenerezza misericordiosa, riaprendo ad ognuno una strada di speranza nell’oggi e per l’eternità.
È questa la «buona notizia» che ci porta il Natale. Non solo delle parole buone, ma l’incontro con una realtà umana, carnale, che sfida il nulla che avanza e consente di guardare tutto se stessi – così come si è – senza vergogna, perché Gesù di Nazareth non si è vergognato di entrare nella nostra carne diventando uomo.
Il Natale è quel bambino in fasce che ci dice: “Non ti accorgi che sono diventato bambino proprio per mostrarti tutta la preferenza che io ho per te?”
Il dramma reale è che pur continuando ad usare parole cristiane, compiere gesti cristiani, appellarsi a valori cristiani questo avvenimento rischia di essere per molti sempre più vuoto di contenuto e di esperienza reale. Quando qualche settimana fa la Commissione europea ha proposto di sostituire – nel formulare gli auguri – l’espressione “Buon Natale” con quella generica di “buone feste” e questo per non offendere la sensibilità di coloro che non si riconoscono nei valori della tradizione cristiana è apparso chiaro che non è più evidente la coscienza di quello che celebriamo in questi giorni.
E così, difronte alle difficoltà grandi, enormi che viviamo come ad esempio la pandemia e le grandi sofferenze che ha provocato, il dramma è appoggiare la nostra consistenza su quelle deboli e inadeguate capacità che ci caratterizzano e che invece tante volte stimiamo assolute, con la pretesa che risolvano definitivamente il dramma umano!
Siamo chiamati invece a guardare quella radicale inquietudine che costituisce l’essenza dell’essere umano e che sospinge a cercare, dentro la problematicità, una certezza e una vera risposta.
“Ciascun confusamente un bene apprende/ nel qual si queti l’animo e desira:/per che di giunger lui ciascun contende” ci ricorda Dante. Tutti segretamente attendiamo questo bene in cui il nostro animo trovi quiete.
Ma questo bene non possiamo pensarlo fuori o a lato dalle circostanze della vita!
Questi giorni non sono per dimenticare ma per riconoscere ancora una volta, nel Natale, il segno che tutti, più o meno confusamente aspettano, il compimento imprevisto del nostro desiderio.
La vittoria sulla insicurezza e sulla paura avviene secondo un disegno che non è il nostro, ma avviene. L’iniziativa audace che Dio ha preso con Maria ci raggiunge anche in questo Natale, rinnovando l’annuncio di una novità radicale: il cristianesimo è una presenza dentro la nostra esistenza, una presenza che assicura un cambiamento inimmaginabile. Non c’è ostacolo che tenga davanti alla Sua iniziativa: scetticismo, incapacità, malattia, circostanze.
Da lei, da Maria, dobbiamo imparare la maturità della fede. Se una fede non diventa matura, è vana, è svuotata dal clima anticristiano di oggi.
La Madonna aveva molto chiaro che la sua vita apparteneva a un Altro, nella concretezza dell’affronto del quotidiano: tutto di lei apparteneva al Signore attraverso un legame preciso, il legame al suo popolo.
La sua vita era dentro, immersa in quella del suo popolo.
Se anche noi avessimo questa coscienza (cioè a chi appartengo) quando formiamo una famiglia, quando andiamo a lavorare, quando affrontiamo qualsiasi cosa nelle nostre giornate, se pensassimo che lì noi stiamo costruendo il suo popolo, apparteniamo lì al suo popolo, che nobiltà sentiremmo nella nostra esistenza, neanche un istante sarebbe vano.
Dobbiamo proprio lasciarci afferrare dallo stupore dei pastori quella notte, lasciarci colpire dalla fede dei primi che hanno seguito Gesù. Come è interessante la frase di don Giussani che accompagna il tradizionale Volantone di augurio di Natale di quest’anno: “Quando Giovanni e Andrea hanno trovato Cristo, non capivano l’aldilà, cosa volesse dire il paradiso, ma avevano lì qualche cosa che era come un paradiso, un pezzo di paradiso: era un pezzo di qualcosa d’Altro. C’è già, è un presente. Perciò la fede è accogliere, riconoscere un presente”.
Buon Natale a tutti.
Monsignor Giovanni Mosciatti
vescovo di Imola