5, Febbraio, 2025

Il lato umano delle cose

Sabato scorso, io e la mia classe, la 4ªAC del Liceo di Lugo, con una presentazione sull’Inquisizione nella diocesi imolese, tenutasi nel palazzo vescovile a Imola, abbiamo concluso il progetto di alternanza scuola-lavoro (e di cui trovate l’inserto nelle pagine centrali del giornale). A giochi ultimati, provo a tirarne le somme, a scoprire il valore umano che la settimana di lavoro ci ha lasciato. Questa esperienza ci ha innanzitutto dato l’opportunità di metterci in gioco, di assumerci responsabilità, di dare spazio alla nostra voce. In una parola, ci ha fatto crescere, sia individualmente, scommetto che ognuno di noi ripenserà a questa settimana come una rivincita sulle proprie insicurezze, ma, soprattutto, come gruppo classe. Credo che questa avventura possa essere riassunta da due espressioni, strettamente legate l’una all’altra, ossia il lavorare con gli altri e il lavorare per gli altri. Lavorare con gli altri significa innanzitutto lavorare su di noi, cercare di capire come funzioniamo, come interagiamo con gli altri, qual è il contributo che possiamo dare e scoprire la nostra unicità.
Quando ci si interfaccia, poi, in un gruppo, ci relazioniamo con persone che funzionano in modo diverso da noi e questo ci impone necessariamente di provare a metterci nei panni degli altri, per far risaltare quei talenti, anche nascosti, che ognuno porta con sé ed impedire di essere trascinati dal pesante fardello di problemi, ansie, difetti che pure ci accompagna. Lavorare in un gruppo significa cercarsi con lo sguardo, sapersi aspettare e infine necessita di due cose fondamentali, la pazienza di aiutare e, ancora più difficile, il coraggio e l’umiltà di ammettere di avere bisogno di aiuto.
Però non basta portare alla luce qualcosa per dire di aver lavorato per gli altri, bisogna infatti arrivare a quante più persone possibili, cercarne lo sguardo, carpirne l’attenzione e a partire da quattro parole scritte in grassetto e qualche immagine, quasi costringere il lettore ad arrivare in fondo all’articolo. Ecco dunque che il lavorare con e per gli altri ci ha portato a uscire da quella scatola che ognuno di noi si è costruito e che rappresenta la barriera di sicurezza che serve a darci la rassicurante convinzione che va tutto bene, che siamo al sicuro. Andare oltre, verso quello che ci fa paura, verso le nostre fragilità, fare quel passo in avanti deriva dalla consapevolezza che la caduta per quanto dolorosa e inevitabile, quando si impara a camminare, ci avrà insegnato e svelato il segreto di quella bellezza che prima vedevamo solo da lontano. E soprattutto quel passo deriva dalla sicurezza di avere accanto a noi la mano di un compagno pronto a tenderla, per afferrarci e rialzarci.
Francesco Savini


 

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