L’incontro di venerdì pomeriggio, al teatro comunale di Imola, tra il cardinale Mauro Gambetti e Stefano Domenicali, ha lasciato in chi scrive il senso della meraviglia. Gambetti è vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano; Domenicali, presidente e amministratore delegato del Formula One Group. E questo tutti lo sanno. Ogni giorno prendono decisioni che muovono centinaia di persone e risorse di ogni genere; tengono relazioni con élites economiche e politiche; da un momento all’altro, a causa di problemi imprevisti, si assumono responsabilità pesanti come macigni. Questo, ce lo immaginiamo. Non ultimo, esercitano i loro ruoli in contesti dove la conflittualità e la ragione dell’interesse personale sono di molte misure oltre i livelli di guardia. Senza dirlo in termini espliciti, venerdì, l’hanno fatto capire.
Il senso della meraviglia (ma pure del divertimento) nasceva dal vederli, Domenicali e Gambetti, spiegare il senso di queste loro vite così fuori dall’ordinario.
ma esperienze avventurose e appassionanti sì, quelle esperienze in cui è scritto il significato di un’intera esistenza e sulle quali si può però anche scherzare o fare dell’ironia. Sottolineo: naturalezza. La naturalezza nasce dal linguaggio che ogni giorno parli nel mondo in cui hai deciso (o ti è toccato) di vivere. Ci sono due mondi più differenti tra loro di quello della Chiesa, guardato oltretutto dal punto di vista di un Francescano, e quello dell’automobilismo da corsa? Eppure, sulla scena dell’Ebe Stignani, Gambetti e Domenicali discutevano allo stesso modo di scelte necessarie, di socialità da costruire, di condivisione di etica e di prospettive. Ne discutevano, e poi si prendevano in giro a vicenda, e poi non trovavano la parola giusta, e allora ridevano. Non vigeva l’abito rigido del ruolo; o meglio, quello era il loro modo di interpretarlo e di dargli voce. Qui sta il punto: anche l’informalità davanti a un teatro pieno è un linguaggio, perché dimostra la necessità di comunicare da vicino, senza distanze, di dare concretezza a un concetto, di spiegare che quella cosa, perché riesca bene, bisogna farla insieme chiunque noi siamo, amministratori delegati o giornalisti o cardinali. Così, la frase «Non dimentico da dove vengo», pronunciata da Domenicali ma ascrivibile anche a Gambetti, rammenta al meravigliato spettatore che un talento privo di naturalezza, di questa naturalezza, non ha speranza di realizzare nulla di interessante.
Marco Marangoni