Viviamo oramai circondati da sigle e acronimi e anche il mondo della scuola non ne è rimasto immune. Uno tra i più noti è sicuramente Pcto.
Letteralmente tale sigla sta per “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”. Gli studenti sono chiamati nell’arco dell’ultimo triennio delle scuole secondarie di secondo grado a svolgere una serie di progetti che coinvolgono direttamente anche enti, imprese, specialisti ed organizzazioni del territorio, come quello recentemente realizzato con Il Nuovo Diario Messaggero. Si tratta di un pacchetto di ore (ciascun istituto potrà definirne la quantità in maniera autonoma, mai inferiore alle 90 ore nei Licei, 150 negli Istituto Tecnici e 210 nei Professionali) che prevedono come parte principale uno stage degli alunni presso le aziende dove, per tre settimane, si recheranno seguiti ed accompagnati da un tutor aziendale precedentemente individuato. Il tutto contribuirà al singolo curriculum di ciascun allievo e sarà oggetto di discussione anche in sede di esame di maturità.
Capita nella vita di scuola di ricevere dal Ministero competente il compito di realizzare progetti ambiziosi, dalle finalità altissime, avendo però a disposizione solo linee guida e qualche risorsa economica. Si tratta in sostanza di un “arrangiatevi”, ammantato naturalmente della bandiera dell’autonomia.
Fanno parte di questa nutrita famiglia i Percorsi Trasversali per le Competenze e l’Orientamento – l’acronimo è Pcto – che da qualche anno sostituiscono l’Alternanza scuola-lavoro e hanno finalità diverse a seconda del tipo di scuola nella quale si svolgono. Nel caso del Liceo, nel quale insegno, hanno principalmente l’obiettivo di orientare gli studenti nella scelta del livello d’istruzione successivo, e di favorire la maturazione delle competenze trasversali – es: la capacità di lavorare in gruppo – che sarebbero così utili nel lavoro (e nella vita, naturalmente).
Anche la mia scuola – il glorioso Liceo Ricci Curbastro di Lugo – si è trovata nell’imbarazzo iniziale di far sì che questi Percorsi conducessero poi da qualche parte, e ha quindi elaborato negli anni, per tentativi ed errori, una serie di attività svolte in collaborazione con soggetti diversi, Università, Enti pubblici, realtà del terzo settore e attività economiche. Come credo abbiamo fatto, d’altronde, tutte le scuole.
In questa cornice di ricerca e sperimentazione abbiamo avuto l’occasione – meglio, la fortuna – di avviare una collaborazione con Il Nuovo Diario Messaggero, presso il quale hanno svolto la loro attività ormai numerose classi. Quanto ai contenuti specifici, questi percorsi hanno accompagnato i ragazzi nella costruzione di un prodotto comunicativo, pubblicato poi come supplemento del settimanale: la scelta dei materiali più adatti in relazione agli interessi dei potenziali lettori, la forma espressiva più adeguata per presentarli, la vita di una redazione – i ritmi, le scadenze, la divisione del lavoro.
Questa attività, interessante di per sé, ha però anche richiesto ai ragazzi uno sforzo di “decentramento” dalle loro abitudini, che a mio avviso ne costituisce l’aspetto più prezioso e pedagogicamente rilevante, e che personalmente attribuisco alla forte vocazione di educatore di questo settimanale. Gli studenti sono stati costretti dalla cosa stessa ad impostare il loro lavoro per obiettivi e non per mansioni, sono stati trattati da adulti e hanno sperimentato una diversa modalità di relazione di gruppo, non centrata sul principio d’autorità ma su quello di responsabilità (prof., posso andare in bagno? Ve lo immaginate in una riunione di lavoro?), hanno sfidato la loro pigrizia e sono usciti dalla loro zona di confort, provandosi in compiti che sembravano lontani dalle loro “presunte” attitudini, e hanno collaborato alla realizzazione di un obiettivo comune, che implicava il rispetto di scadenze ed impegni assunti da ciascuno nei confronti di tutti.
Ecco, direi che queste sono soft skill, competenze trasversali, indubbiamente utili nel lavoro e nella vita. Ma anche a scuola. Spesso ci lamentiamo, dico noi docenti, che gli studenti non sono interessati alle lezioni, si trascinano a scuola, badano solo al voto, hanno atteggiamenti opportunistici (copiano). Forse attività come quelle descritte suggeriscono possibili strategie per ottenere dai ragazzi di più e di meglio. Forse lo scopo dei Pcto, al di là delle intenzioni ministeriali, è proprio questo: guardando gli studenti con occhi “estranei” alla scuola, aiutarci a cambiare la scuola.
Prof. Giulio Santagada
Liceo statale G. Ricci Curbastro – Lugo