La festa di San Cassiano di quest’anno arriva in un momento della nostra storia caratterizzato per molti versi da un senso di diffusa incertezza. Viviamo in un tempo complicato, difficile, di cambiamento, dove quello che sembrava evidente a tutti oggi è messo in discussione. Un tempo pieno di ambiguità e contraddizioni, con la violenza della guerra che è entrata prepotentemente nelle nostre case. Si parla anche tanto dei ragazzi e degli adolescenti, che si scontrano in piazza o stanno rinchiusi in stanza, che hanno paura della solitudine o di tornare a trovarsi insieme. Essi portano addosso i segni di questo tempo sofferto. Per questo siamo tutti interrogati da una situazione in cui emerge un disagio forte e, al contempo, lo stupore quando si trova un adulto che lo guarda senza paura.
Qui è il punto: siamo chiamati a vivere il nostro tempo, così segnato dall’incertezza, come un’insostituibile opportunità per riscoprire la vera natura dell’io, la sua sete di verità, giustizia e bontà. E anche gli interrogativi più scomodi, alla fine, diventano fattori positivi nel viaggio della comune avventura umana. In un contesto del genere, noi cristiani siamo tentati o di abbandonare la novità del Vangelo per conformarci alla mentalità dominante o di usarla per difenderci da un mondo che percepiamo come ostile. Le domande e le sfide del nostro tempo non sono come dei nemici da combattere, ma come delle ferite da abbracciare per scoprire l’originalità del Cristianesimo.
L’esperienza del primo anno del sinodo ci ha fatto vedere che abbiamo davanti una grandissima opportunità per riscoprire l’originalità dell’avvenimento cristiano. E questa occasione si fa presente e coinvolgente nella dimensione dell’incontro. Sono proprio gli incontri a tutto campo che abbiamo vissuto che ci hanno insegnato che l’altro è un dono e che sempre può cominciare un cammino insieme, senza che le cose su cui la si pensa diversamente diventino un ostacolo definitivo.
Quando la persona sembra travolta dall’amarezza del mondo, emerge nella sua potenza il grido dell’umanità bisognosa che siamo e che vediamo intorno a noi. «C’è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce»: cantava Leonard Cohen, ma a riempire di luce la crepa non sarà mai un pensiero. Ma qualcuno da cui lasciarci guardare, perché ha tenerezza per la sua umanità e quindi per la nostra, davanti a cui il cuore sobbalza.
Una fede realmente vissuta ci permette allora di guardare alla realtà contemporanea, segnata da moltissime contraddizioni, ferite e sofferenze, con uno sguardo carico di simpatia che ci permette di “avviare processi”, come ci ricorda papa Francesco, anche con chi inizialmente percepiamo come molto distante da noi. Qui nasce la proposta che la Chiesa fa a tutti quest’anno, che ha per titolo I cantieri di Betania. Questo documento nasce dalla consultazione del popolo di Dio, svoltasi nel primo anno di ascolto e vuole essere lo strumento di riferimento per il prosieguo del cammino che intende coinvolgere anche coloro che ne sono finora restati ai margini. Si tratta, dunque, di «una grande opportunità per aprirsi ai tanti “mondi” che guardano con curiosità, attenzione e speranza al Vangelo di Gesù» ha detto il cardinale Zuppi presentando il lavoro.
Accogliamo la sfida per vivere come uomini e donne radicati nella speranza nel nostro tempo di incertezza.
Monsignor Giovanni Mosciatti, vescovo di Imola