5, Febbraio, 2025

Non solo un bell’evento ma l’inizio di una strada

«Il modo migliore per dialogare non è discutere, ma fare qualcosa insieme, costruire insieme, fare progetti. Non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà».
Non so quali fossero le attese delle centinaia di persone accorse all’incontro pubblico Una domanda a don Matteo, ma credo che queste parole di papa Francesco siano state in qualche modo incarnate.
In primo luogo dai due sacerdoti presenti sul palco del teatro Stignani, il vescovo Giovanni Mosciatti e il cardinale Matteo Zuppi, che con il loro modo di stare di fronte alle domande dei giovani hanno dimostrato che veramente «la Chiesa è madre», come ripetuto più volte dall’arcivescovo di Bologna durante tutto il pomeriggio. Lo è perché ti guarda e ti ascolta, ti prende sul serio, ha a cuore che tu, ragazzo, possa fare un passo in più, possa capire chi sei e cosa cerchi, possa fare i conti col desiderio di compimento che ti è stato dato. Un desiderio ingombrante, spesso taciuto o non compreso, specie in piena adolescenza, come hanno testimoniato alcune domande o le riflessioni degli adulti proiettate in apertura d’incontro.
Ma la volontà del pontefice è stata incarnata anche dai mille volti presenti a teatro. C’erano genitori e figli, nonni e nipoti, laici e consacrati, credenti e non, un bello spaccato della società che compone il territorio diocesano, segno inequivocabile che dalla diversità scaturisce un dialogo ancora più vero, avvincente e fecondo. La miccia innescata da papa Francesco attraverso il cammino sinodale che ha avviato va in questa direzione. Apertura e dialogo non sono la rinuncia alla difesa di principi millenari, ma le direttrici su cui impostare la Chiesa di oggi. Perché da un’esperienza di fede vera non può che nascere il desiderio di incontrare tutti, anche chi la pensa diversamente o chi alcune domande semplicemente non se le pone. Per questo credo che all’interrogativo «La Chiesa cambia nel tempo?» don Giovanni e don Matteo abbiano risposto con la loro semplice presenza lì, quel pomeriggio, con quei dieci giovani seduti di fronte a loro e altre diverse centinaia tra platea e palchetti. Hanno messo nero su bianco che «siamo qui con voi, desideriamo fare un pezzo di strada insieme». Il dialogo andato in scena sabato pomeriggio è proprio uno dei segni della Chiesa che cambia. Perlomeno nelle forme, perché «la sostanza è sempre quella» ha precisato il cardinale senza lasciare spazio a fraintendimenti.
Certo, le obiezioni possono essere molteplici, e nel chiacchiericcio del post evento probabilmente si sono sprecate. «Le domande fatte dai ragazzi erano astratte», «le risposte date dai due sacerdoti sono state vaghe», «la circostanza non ha aiutato ad andare a fondo di quanto chiesto»… Può anche essere vero, ma il 5 novembre non è la bandiera a scacchi di una gara sprint, piuttosto l’inizio di un lungo percorso a tappe. Il vescovo e la Chiesa imolese hanno come fotografato lo stato dell’arte: i giovani – non solo quelli che fanno un percorso di fede – hanno queste domande, noi come ci stiamo di fronte? Andranno trovati luoghi e modalità adatte, al passo coi tempi, per intercettare le loro esigenze e tentare di rispondere alle domande di significato sulla vita. L’aspetto più avvincente per l’intera comunità imolese non è tanto la meta, ma il cammino da intraprendere. Nel frattempo, come direbbe il papa, non solo si è discusso, ma è stato fatto qualcosa insieme.

Davide Santandrea


 

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