5, Febbraio, 2025

Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza

In una introduzione di Morning, il podcast quotidiano del Post, Francesco Costa – uno dei migliori giornalisti della sua generazione – a proposito delle manifestazioni in Iran si è posto un problema che molto ha a che fare con la cultura politica del nostro tempo.
Costa, rispondendo ad una mail di un’ascoltatrice che gli chiedeva: «Noi cosa possiamo fare per dare una mano al movimento di liberazione delle donne in Iran?».
Anni fa la risposta era immediata: una manifestazione. Oggi, dopo settimane di violenze e di omicidi da parte della polizia morale ci sono state delle petizioni firmate da intellettuali e star della musica, qualche ordine del giorno di consigli comunali. Poco. Pochissimo.
Costa alla domanda ha risposto: «Probabilmente nulla». Mi ha inquietato quella risposta. Purtroppo forse è vero.
Il regime iraniano è abituato ad affrontare e sopportare pressioni più forti rispetto alle firme di una petizione o alla vibrante protesta espressa in una marcia di qualche centinaio di persone. Anche tanti tweet indignati non fanno neppure il solletico.
Tra i suggerimenti che Costa propone ai suoi ascoltatori c’è quella di informarsi. Formarsi dentro. Sapere da dove viene la condizione iraniana di oggi. Conoscere la storia lontana e la cronaca recente di quel paese.
Conoscere le cose ci fa essere più consapevoli quando esercitiamo i nostri diritti: quando votiamo, o quando decidiamo di consumare un prodotto rispetto ad un altro.
Ecco. In questo mondo, dove non ci sono più le sezioni dei partiti, dove non basta che il segretario (o il vescovo) dia una direttiva per fare scendere in piazza migliaia di persone l’impegno civile si sovrappone all’informazione consapevole delle persone.
Il come ci si informa. Come definiamo la nostra dieta mediatica è un elemento di base per alimentare una cultura collettiva.
Per questo è importante sapere come funzionano i giornali e come sono cambiati in questi anni.
Rischierò di apparire blasfemo in queste colonne, ma il vangelo di questo processo di modernizzazione dei media è un libro di Jill Abramson, Mercanti di verità, edito in Italia da Sellerio.
Abramson spiega come i giornali locali americani, che hanno rappresentato per decenni la spina dorsale della democrazia di quel paese, hanno tagliato le loro redazioni, sono stati venduti a fondi speculativi oppure hanno chiuso definitivamente.
L’informazione locale è quella più vicina alle persone, la realtà più rappresenta gli interessi dei cittadini. Senza i giornali locali si assiste alla «desertificazione delle notizie».
Dopo una sbornia da social stiamo passando ad uno stato di torpore collettivo. Il numero di Internazionale in edicola la scorsa settimana ha una copertina che potrebbe essere profetica: «La fine dei social network». Questi strumenti che erano nati nelle università per rafforzare i legami tra le persone hanno cambiato la loro natura. «TikTok li ha trasformati in un mezzo per diffondere contenuti e diventare famosi».
Il tema è di attualità e riguarda prima di tutti chi fa informazione. La decadenza dei giornali spinge spesso chi li fa ad inseguire pigramente le tendenze morbose a caccia di like o di vendere qualche copia dei vecchi giornali di carta.
Servono giornalisti sensibili, autonomi e aggiornati per arginare queste perverse tendenze.
Ma il panorama dell’informazione dipenderà anche da noi.
Io sono convinto che noi siamo le comunità che frequentiamo. Gli amici che abbiamo. I libri e i giornali che leggiamo. I film che vediamo. Questi elementi concorrono ogni giorno a farci crescere e a aiutarci a discernere.
La vita è strana. Io sono nato in sezione del Pci. Non si tratta di una metafora, è proprio così. Oggi mi trovo a scrivere un editoriale per il giornale della diocesi. Peraltro, poco più di un mese fa, è uscito un libro che ho curato per Mondadori, Omelia per gli invisibili, del vescovo di San Severo, monsignor Giovanni Checchinato.
La cosa è ancora più paradossale perché il direttore del Nuovo Diario, che ringrazio, mi ha affidato il compito di ragionare su un tema che molto ha a che fare con l’identità: la cultura.
Io mi posso solo aggrappare ad una citazione che dovremmo tutti avere ricamata sul cuscino: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».
Sono tre principi che devono essere applicati al nostro mondo, alla nostra epoca e a quella che stiamo per affrontare. Non è un caso che siano state scritte nell’editoriale del primo numero di un giornale, L’Ordine Nuovo. Era il primo maggio del 1919. L’autore si chiamava Antonio Gramsci.
Claudio Caprara,
giornalista del Post


 

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