La parola dominante nella liturgia che precede il Natale è la parola “attesa”. Perché questa è la verità di noi stessi, di tutto quello che siamo e facciamo, di tutto. «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?» scrive Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere. Ognuno di noi può riconoscere nella propria esperienza fino a che punto la sua vita è piena d’attesa, qualunque sia poi la forma in cui ciascuno se la rappresenta. Possiamo, quindi, dire che l’attesa è la struttura stessa della nostra natura, l’essenza della nostra anima. Questa attesa ci s’impone con un’evidenza così forte che crediamo di sapere quello che attendiamo. Purtroppo, in tante occasioni dobbiamo riconoscere che spesso ci inganniamo sull’oggetto dei nostri desideri. Però è proprio nel momento della delusione, paradossalmente, che l’uomo si rende consapevole della vera natura dell’attesa che lo costituisce e che gli rivela il mistero della sua persona.
È stato il genio di Pavese ad approfondire questo paradosso ancora ne Il mestiere di vivere: «Ciò che un uomo cerca nei piaceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità».
Niente è in grado di soddisfarci, perché quello che cerchiamo in tutto quanto ci piace, nei piaceri, è un infinito. È questo che ci consente di capire la nostra delusione. Infatti l’esperienza stessa della delusione mette in evidenza di che cosa è fatto il nostro cuore. Se non avessi un desiderio senza confine, non avrei nemmeno l’esperienza della delusione. Questa attesa allora non ha misura, ha una natura infinita. Il cuore è proprio fatto per desiderare l’infinito, non per pretendere un guadagno calcolato. Ma non basterebbe desiderare l’infinito se l’infinito non mi venisse incontro, se non potessi abbracciarlo. La grande rivoluzione religiosa e umana del cristianesimo e che, appunto, l’infinito ci è venuto incontro e si è lasciato abbracciare. La vera natura dell’attesa è allora la venuta di un Altro, l’avvenimento di un Altro. Non attendiamo qualcosa, ma Qualcuno. Con la venuta di Cristo, il desiderio del cuore si è riscoperto essere attesa di Qualcuno, di Qualcuno che è venuto, è qui, mi guarda e mi parla, mi abbraccia e mi prende per mano, donandomi di vivere con lui.
La promessa di Cristo allora non è soltanto una realtà attesa, ma una vera Presenza. È con questa Presenza davanti a me che, adesso, posso guardare senza paura tutta la portata della mia attesa, dei miei desideri più profondi. Nella compagnia di questa Presenza posso vivere.
La modalità con cui questo Mistero continua nella storia ha la forma di un incontro nel quale a noi, che viviamo oltre 2000 anni dopo l’evento descritto dall’evangelista Luca, è dato di fare la stessa esperienza e perciò essere attratti e coinvolti. E avviene sempre attraverso qualcuno che con la sua vita ci rende riconoscibile la Presenza di Gesù, oggi come allora. Nella lettera apostolica “Desiderio Desideravi” papa Francesco osserva: “Se fossimo giunti a Gerusalemme dopo la Pentecoste e avessimo sentito il desiderio non solo di avere informazioni su Gesù di Nazareth, ma di poterlo ancora incontrare, non avremmo avuto altra possibilità se non quella di cercare i suoi per ascoltare le sue parole e vedere i suoi gesti, più vivi che mai. Non avremmo avuto altra possibilità di un incontro vero con Lui se non quella della comunità che celebra. Per questo la Chiesa ha sempre custodito come il suo più prezioso tesoro il mandato del Signore: “fate questo in memoria di me”. Fin da subito la Chiesa ha compreso, illuminata dallo Spirito Santo, che ciò che era visibile di Gesù, ciò che si poteva vedere con gli occhi e toccare con le mani, le sue parole e i suoi gesti, la concretezza del Verbo incarnato, tutto di Lui era passato nella celebrazione dei sacramenti. Qui sta tutta la potente bellezza della Liturgia. Se la Risurrezione fosse per noi un concetto, un’idea, un pensiero; se il Risorto fosse per noi il ricordo del ricordo di altri, per quanto autorevoli come gli Apostoli, se non venisse data anche a noi la possibilità di un incontro vero con Lui, sarebbe come dichiarare esaurita la novità del Verbo fatto carne. Invece, l’incarnazione oltre ad essere l’unico evento nuovo che la storia conosca, è anche il metodo che la Santissima Trinità ha scelto per aprire a noi la via della comunione. La fede cristiana o è incontro con Lui vivo o non è”.
Per questo l’augurio che ci scambiamo in questi giorni è la testimonianza vicendevole di un incontro vivo con Colui che è tra noi, venuto a salvarci, un bambino da accogliere: Buon Natale.
Mons. Giovanni Mosciatti,
vescovo della Diocesi di Imola