5, Febbraio, 2025

Di fronte alla natura chiediamoci: chi siamo?

Ancora una volta è emersa la nostra impotenza di fronte alla forza distruttrice della natura. Che tristezza vedere gli effetti della furia dell’acqua, il pianto per le vittime, la pena di chi improvvisamente si ritrova senza casa o deve buttare cose care o il frutto del proprio faticoso lavoro.
Quante volte in questi anni, girando per la diocesi, sono rimasto colpito dalla cura del territorio, l’amore alle coltivazioni, la fecondità della terra. Eppure, tutta questa meraviglia è fragile, è esposta alla furia della natura, come quel fiumiciattolo che nemmeno si riconosceva ieri per quanto era piccolo e invece ha spazzato via vite e beni.
In questo momento innescare polemiche o accusare il potere di turno non serve. Perché non ci cambia.
Queste circostanze invece ci pongono una domanda importante, ci costringono a riflettere, a renderci conto di chi siamo. È la grande verifica di dove è poggiata la nostra esistenza.
Non dobbiamo dimenticare la lezione del terremoto, di cui in questi giorni ricorre l’anniversario, e della pandemia che ci ha appena lasciato.
Così come è sempre più necessario che cresca la consapevolezza in ciascuno di noi di un impegno sempre più grande per la cura e la custodia del creato e della nostra casa comune.
Ma in questi giorni mi è sempre ritornata alla mente la parabola di Gesù della casa costruita o sulla sabbia o sulla roccia: «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde perché era fondata sulla roccia» (Mt 7,25).
Ma cosa vuol dire essere fondati sulla roccia? Mi soffermo su alcune testimonianze che mi sono arrivate in questi giorni: da Castel Bolognese. «Non sono mai stata sola, c’è sempre stato qualcuno accanto a me per aiutarmi. Don Giussani ci diceva di cercare l’oro dentro la fanghiglia del letto del fiume. C’è fango dappertutto. Quante pepite di bene possiamo trovare in questi giorni!».
Margherita: «Ho dato disponibilità per aiutare al PalaCattani gli sfollati… tanta gente che aiutava, una solidarietà immensa e tutti sorridenti».
Stefania: «Un nostro storico fornitore ha gli uffici allagati. Chiede se per qualche tempo possiamo ospitare la sua azienda nella nostra sede. Sì di cuore».
Katia da Imola: «Oggi sono andata al punto di raccolta di Imola a portare due coperte e ho pianto per la commozione nel vedere tanti giovani al lavoro e soprattutto tanta gente che faceva la fila sotto la pioggia per lasciare una spesa appena fatta, acqua, coperte… E tutti venivamo accolti da un sorriso e da una voce gentile. Le persone sono soprattutto così. C’è amore e generosità nel mondo».
Da Lugo: «Ci troviamo ad affrontare questo dolore insieme a tanti amici, non da soli, ma in una vera compagnia, una vera benedizione, che nonostante tutto quello che accade, possiamo dire: «che bello che Dio c’è». Un Amore grande che ci fa restare con più serenità e con una grande certezza nel cuore che la vita è davvero bella. Tutto ciò che accade non è una tragedia o disgrazia. Siamo davvero benedetti e ringraziamo per tutto ciò che abbiamo».
Marco: «Siamo fatti strani. O forse più vero, viviamo in modo strano. Ci servono le sberle della vita per togliere il focus dalle stupidaggini e riconoscere il valore di ciò che si ha».
Teresa: «Per fare tutto questo servizio non è servito fare nessuno sforzo, ma solamente il riconoscimento di una necessità comune. Niente ipocrisia o buonismo».
Martino: «Una cosa bellissima per strada, in piazza ci sono gli sguardi e i sorrisi che, seppur pieni di stanchezza e preoccupazione, rompono la solitudine, sgretolano la disperazione. Mi sono commosso l’altra sera quando ho potuto lavarmi via dalle mani il fango di giorni con il sapone e un filo di acqua corrente».
Una signora: «Ringraziate di cuore i ragazzi che ci avete mandato per sgomberare e per pulire perché hanno trasformato quello che era una tragedia in una festa: sempre sorridenti e allegri e hanno lavorato sodo senza lamentarsi mai!».
Un piccolissimo esempio: a Lugo ci sono ragazzi che stanno facendo turni giorno e notte al palaSabin coordinando sia la segreteria che le pulizie. Ragazzi che sono lì da due giorni ininterrottamente dalla mattina, dormendo lì, lavorando di notte, accogliendo chi arriva. Domenica più di centocinquanta ragazzi sono arrivati da diverse città andando a pulire presso tantissime famiglie.
Colpisce tutti la solidarietà, il farsi vicino, l’impegno eroico di amministratori, vigili del fuoco, forze dell’ordine, volontari.
In certi frangenti emerge la stoffa dell’uomo. La nostra natura ci dà l’esigenza di interessarci degli altri. Quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro.
Tale esigenza è talmente originale, talmente naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti. Renderci conto della nostra natura, dell’essere “fratelli tutti”, è veramente importante.
L’esperienza ci aiuta a capire che se la solidarietà ha una caratteristica istintiva della natura dell’uomo, poco o tanto può essere un’emozione, la risposta a una emozione, come una reazione. Ma una reazione rischia di non durare nel tempo, non costruisce. Ciò che costruisce è domandarsi: per che cosa aderisci a questa urgenza di solidarietà? Per che cosa fai questo? In nome di che cosa fai questo? Potrà essere una appartenenza ideologica, o a una realtà religiosa, l’appartenenza al mistero del fatto cristiano nel mondo. In ogni caso l’appartenenza è qualcosa che rende permanente questo impeto di solidarietà.
La carità riconduce l’uomo alla ragione del suo agire, a quella ragione che dà positività totale, rende totalmente positive le cose e le rende permanenti. Infatti una persona, sollecitata nella sua capacità di compassione, dall’incontro con un bisogno umano, con un dolore umano, acquista una educazione, e come si comporta di fronte al bisogno, così incomincia a capire che deve comportarsi con sua madre, con suo padre, con la moglie, col marito, con i figli, con il lavoro, con gli altri. Se l’affronto del bisogno diventa carità, vale a dire coscienza di appartenenza a una unità grande, positiva e permanente, imitazione del mistero infinito di Dio, se uno diventa cosciente di questo, allora diventa un compagno di cammino nuovo.
Così il cristiano è uno che ha proprio dalla fede e dalla speranza la scaturigine di questo senso di appartenenza grande, di questa carità che porta dovunque.
La carità dà alla solidarietà una ragione per cui tutta la vita e tutto lo sguardo che la vita dell’uomo dà alle cose diventa l’opera di Dio.
Come è vero allora che «può cadere la pioggia, possono straripare i fiumi, soffiare i venti ed abbattersi su quella casa, ma essa non cade perché è fondata sulla roccia».

Mons. Giovanni Mosciatti,
vescovo di Imola


© RIPRODUZIONE RISERVATA

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