La notizia tanto attesa è arrivata direttamente da Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita: la Vena del Gesso Romagnola (e con essa i Gessi bolognesi e di Zola Predosa, le Evaporiti di San Leo e la grotta di Onferno nel riminese, l’Alta Valle del Secchia e la Bassa collina reggiana) è patrimonio Unesco. Questa la dicitura ufficiale approvata dalla sessione estesa del Comitato del patrimonio mondiale Unesco: Carsismo evaporitico nelle grotte dell’Appennino settentrionale.
Il primo a commentare è stato il presidente del Club alpino italiano di Imola, Paolo Mainetti, in costante e continuo contatto con gli speleologi presenti in Arabia Saudita che gli hanno comunicato quasi in diretta la notizia: «Dentro di me c’è una gioia immensa. Sono quasi commosso. Condividiamo questo momento incredibile con l’università di Bologna, la fondazione speleologi, l’Ente Parco e tutte le persone che si sono impegnate in questi anni per portare a termine un lungo percorso. Da parte nostra, come Cai, siamo fieri e orgogliosi di aver portato il nostro piccolo mattoncino».
«Non cadono solo le passerelle, ma ci sono anche belle notizie – gli fa eco il presidente dell’Ente di gestione parchi e biodiversità Romagna, Antonio Venturi -. Siamo contenti, contentissimi, ovvio, ma questo per noi non è solo un traguardo raggiunto, bensì l’inizio di un nuovo lavoro». Lavoro? «Sì, quello per mantenere nel tempo questo risultato». Un risultato che, ammette Venturi, «richiederà qualche giorno per essere elaborato. Sì, ci speravamo, e pure tanto, e ora possiamo dirlo davvero: la Vena del Gesso è patrimonio dell’umanità».
E per l’Italia – prima al mondo in questa speciale classifica – si tratta del 59esimo sito iscritto all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura.
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