È sotto gli occhi di tutti la drammaticità del momento storico nel quale ci troviamo a vivere. Sentiamo il dolore per le violenze che insanguinano diversi angoli del pianeta mettendo a rischio il futuro di tutti noi. I conflitti armati aumentano in molte parti del mondo, fin dentro all’Europa, e sembrano crollare quei pilastri su cui poggia la convivenza civile, lo sviluppo economico-sociale e quindi la possibilità di uno sguardo positivo sul nostro futuro. La guerra, spesso alimentata da nazionalismi antiumani, è tornata a insanguinare l’Europa e segna l’esistenza di tanti popoli.
Le tensioni crescenti rendono il linguaggio della politica internazionale sempre più aggressivo, violento e divisivo. Mi ha molto colpito il richiamo che papa Francesco rivolge a tutti nella sua lettera al Corriere della sera del 14 marzo scorso: «Sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani. Possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra.
C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità».
Occorre davvero avere il coraggio di trovare forme nuove di dialogo, senza accontentarsi di scorciatoie di carattere militare che non risolvono i problemi, anzi li aggravano. L’ Europa ad esempio deve decidere se essere fedele alla sua vocazione di luogo di incontro, di mediazione e quindi di costruzione della pace, promuovendo la centralità della persona e una cultura della sussidiarietà all’interno dei singoli Paesi, oppure contribuire all’atmosfera conflittuale che sembra prevalere su tutto.
In una bellissima intervista del 2012 papa Benedetto sottolineava che «è evidente che l’Europa ha oggi nel mondo un grande peso sia economico, sia culturale e intellettuale. E, in corrispondenza a questo peso, ha una grande responsabilità. Solo una ragione che ha un’identità storica e morale può anche parlare con gli altri, cercare una interculturalità nella quale tutti possono entrare e trovare una unità fondamentale dei valori che possono aprire le strade al futuro, a un nuovo umanesimo, che deve essere il nostro scopo. E per noi questo umanesimo cresce proprio dalla grande idea dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio».
Tutti si appellano alla pace, credenti e non credenti, sinistra e destra, una pace che tanto più è conclamata quanto più la violenza appare l’unica reale soluzione. Sembra di risentire la frase biblica «Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra» (Salmo 119). Ma la coscienza dell’uomo può aprirsi a una possibilità di pace almeno in un punto: l’affermazione della religiosità come dimensione della vita. Solo la coscienza di non essere noi i padroni della storia può aprire uno spiraglio realistico e profondo alla vera pace. Solo il sentimento della positività ultima di tutta la realtà, del valore della dignità di ciascun uomo può riaccendere il desiderio della fratellanza e della giustizia, la speranza della pace.
Le parole del cardinal Pizzaballa ci aiutano a capire cosa vuol dire costruire la pace: «Non è solo convenzione sociale, armistizio, mera tregua o assenza di guerra, frutto degli sforzi diplomatici e degli equilibri geopolitici globali o locali. La pace si fonda sulla verità della persona umana. Quando il volto dell’altro si dissolve svanisce anche il volto di Dio e quindi la vera pace. Per la pace si deve rischiare, sempre. Si deve essere disposti a perdere l’onore, a morire come Gesù. La comunità è chiamata ad essere strada aperta su cui la paura e il sospetto cedano il passo alla conoscenza, all’incontro e alla fiducia, dove le differenze siano opportunità di compagnia e collaborazione e non pretesto per la guerra. La pace ha bisogno della testimonianza di gesti chiari e forti da parte di tutti i credenti, ma ha anche bisogno di essere annunciata e difesa da parole altrettante chiare».
Tutto questo chiede impegno, lavoro, silenzio, parole. Per questo, anche su suggerimento di tanti, desideriamo vivere un momento intenso di preghiera per la pace, ritrovandoci tutti insieme giovedì 10 aprile alle 20.45 nella nostra cattedrale di San Cassiano.
Monsignor Giovanni Mosciatti
vescovo di Imola
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