Domenica 19 febbraio l’Azione Cattolica (Ac) diocesana celebra la XVI Assemblea per il rinnovo delle cariche triennali. L’associazione, nei suoi 150 anni di storia, ha saputo innescare processi nuovi che hanno formato generazioni intere di cristiani e di cittadini. Oggi è una realtà viva, che coinvolge migliaia di persone di tutte le età, con un’indole missionaria
e popolare che si esprime nell’impegno dei suoi aderenti singoli e attraverso i movimenti d’ambiente nella scuola (Msac) e nel lavoro (Mlac).
L’Ac, diffusa in tutta la diocesi e comprendente al suo interno tutte le fasce di età, è osservatorio privilegiato per vedere le trasformazioni in atto, sia a livello sociale che ecclesiale.
Il modello di Chiesa che ha generato alla fede gran parte degli adulti di oggi, è al tramonto. È evidente per tutti che in questi ultimi anni il processo di crisi ha avuto addirittura un’accelerazione. La forma di Chiesa presente sul territorio
(con le Unità pastorali che non decollano), il ruolo dei preti nelle parrocchie, la difficoltà a pensarsi popolo di Dio, valorizzandone tutte le componenti e quindi anche i laici, sono tutte questioni che richiedono risposte. Il radicamento territoriale nella parrocchia è forte solo per bambini e ragazzi
in età da sacramenti e per gli anziani, mentre giovani e adulti abitano altri luoghi di aggregazione o di interesse. È una crisi profonda per la quale papa Francesco individua la causa nella tristezza individualista che “scaturisce dal
cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata” (Evangelii Gaudium, n.2).
Anche noi cristiani contribuiamo a diffondere questa mentalità individualista, se ci limitiamo a chiedere spazi o ad allargare divisioni piuttosto che spenderci per ricreare il tessuto di relazioni fraterne a tutti i livelli, da quello micro dei rapporti in famiglia a quello macro dell’impegno politico.
Eppure, da qualche parte, la Chiesa cresce: non è realtà umana e non può essere valutata con parametri aziendali. Siamo noi che non vediamo il nuovo, abituati a riprodurre ciò che abbiamo sempre fatto o visto. La direzione da prendere con decisione è quella di impegnarsi nella edificazione di un popolo-chiesa con un volto luminoso, misericordioso, accogliente, radicato nell’insegnamento del Vangelo.
Dio non ci ha convocati come individui e non ci salva da soli, ma dentro la trama delle relazioni personali in cui la vita ci colloca nella logica dell’incarnazione. L’impegno dunque deve esser volto a privilegiare tutto ciò che contribuisce a generare processi e a creare occasioni e luoghi di condivisione e di relazioni fraterne con le persone, leggendo la storia
e i bisogni della gente attraverso il Vangelo. Per averne fatto esperienza per anni insieme a tantissimi amici, sono convinta che l’Ac, associazione di persone abituate a pensarsi insieme, sia un antidoto potente alla malattia
dell’individualismo!