«Per entrare nel segreto delle cose, bisogna innanzitutto donarsi ad esse». È questo l’inse-gnamento, semplice e decisivo, che Simone de Beauvoir trae dalle proprie peregrinazioni nella campagna francese. «Di solito la mia curiosità era golosa; credevo di possedere appena conoscevo e di conoscere appena sfioravo. Ma per appropriarmi di un angolo di campagna vagabondavo giorno dopo giorno lungo le mulattiere; restavo lunghe ore immobile ai piedi d’un albero: allora la minima vibrazione dell’aria, ogni sfumatura dell’autunno mi toccava.» Non basta vedere un luogo per farlo proprio. Non è sufficiente un rapido sguardo né, ancor meno, un’astratta conoscenza libresca per cogliere l’essenza di un’opera d’arte, d’uno scorcio di campagna, dell’architettura di un palazzo. Per entrare in dialogo autentico col circo-stante, così come con una persona, una sinfonia o se stessi, è necessario un tempo. Un tempo lento. Nella lentezza del cammino, nella sospensione delle «agende» tipica del vaga-bondaggio, è possibile aprire i propri sensi – e con essi la propria mente, il proprio animo… – alle meraviglie in ogni dove presenti. Camminando lentamente, passeggiando privi d’una meta imperante ed impietosa, il corpo si distende, entrando pian piano in effusione nel paesaggio. Si cammina allora nel silenzio: è come se la parola quotidiana sfumasse, come se quel chiacchiericcio interiore che spesso soffoca il respiro della nostra esistenza si placasse… ci ritroviamo nel presente – «presso l’ente», realmente «accanto a ciò che ci circonda» secondo la bella etimologia della parola – contemplando magari quelle «finestre del buon Dio» di cui, riprendendo un proverbio popolare ceco, scrisse Milan Kundera nel romanzo dedicato alla Lentezza. L’ascolto prende così il sopravvento sulla brama di imporre la propria individualità. L’ascolto tattile del sentiero su cui si posano i piedi acquista maggior valore del luogo verso cui si è diretti; l’ascolto dei rumori e dei canti nella natura più importanza del vociferare interno; l’ascolto visivo di una sfumatura d’un panneggio più senso della propria erudizione… e così per ogni altro senso di cui il nostro essere è capace. Dal silenzio è infine possibile riemergere. La parola ed il pensiero rifioriscono dopo aver riposato sotto la coltre dell’ascolto. E nella solitudine matura il desiderio vivo di condividere ciò che si è esperito: panorami, architetture, dipinti, odori, luci, suoni, consistenze, intuizioni e stati d’animo che si sono attraversati.
Gianmaria Beccari – Passeggiate Filosofiche ®