6, Febbraio, 2025

La fotografia è un linguaggio internazionale

Mi rendo conto che potrebbe non essere il momento più giusto per parlare di didattica in senso astratto, in questo momento in cui le questioni logistiche legate alla scuola sono, giustamente, il problema principale. E per di più parlare di didattica legata alle arti visive, in un periodo di emergenza sanitaria. Però la mia è una riflessione talmente generica, per la quale forse non c’è mai un “momento giusto”. Si dice che la nostra sia la società delle immagini. Beh, io non sono tra quelli che credono che nel mondo ci siano troppe immagini. Certo, ci sono innumerevoli immagini nel mondo, e si potrebbe benissimo fare a meno di molte di esse, ma non sono più delle parole che siamo costretti a leggere e ad ascoltare ogni giorno. Di tutte queste immagini, la maggior parte sono fotografie scattate con lo smartphone e pubblicate in formato digitale. Tecnicamente, nessun problema: anche per chi non si è mai occupato di fotografia, il telefono cellulare o la fotocamera digitale fanno tutto al nostro posto: basta spingere un pulsante e in automatico diaframma e otturatore, iso ed esposizione vengono regolati e bilanciati automaticamente in base alla scena e alla luce disponibile.
Le lacune tecniche, dunque, sono sempre compensate. Le lacune del linguaggio fotografico, quelle, invece, non si mascherano. La fotografia ha una grammatica visiva che in pochi hanno studiato a scuola (in pochi rispetto a tutti quelli che ogni giorno spingono quel pulsante). Si dice spesso (e io sono d’accordo) che le parole sono importanti, ma lo sono anche le immagini. Così come a scuola si insegna a leggere e scrivere, penso che oggi avrebbe senso approfondire ed insegnare di più anche la grammatica fotografica, visto l’utilizzo onnicomprensivo che oggi si fa della fotografia, e visto che la fotografia è un vero e proprio linguaggio internazionale. Lo dico da fotografo, e da studioso e insegnante di fotografia documentaria. Lo dico anche da ricercatore universitario che ha approfondito alcune specifiche vicende artistiche del territorio romagnolo. Nel 1893, ad esempio, l’artista Domenico Visani istituì a Lugo una Scuola Comunale di Disegno e Plastica, una scuola artistica industriale a mio avviso geniale e molto “avanti” rispetto al suo tempo. Essa era rivolta sia a giovani artisti, che a giovani lavoratori e a garzoni di bottega delle comuni arti e mestieri (falegnami, muratori, meccanici, verniciatori, marmorini e decoratori) interessati ad affinare la propria pratica. Una educazione visiva per la gente comune. Mi sembra che oggi ci sia bisogno di una cosa così. Una maggore educazione del guardare, così come siamo educati a leggere e scrivere.

Luca Nostri
Fotografo, curatore di Lugo Land – Fotografia e territorio,
e insegnante di fotografia presso
AA School of Architecture, Londra

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