6, Febbraio, 2025

Il giardino delle parole

Quando mi capita di consigliare un libro a qualcuno, amico o studente o sconosciuto incontrato in treno, avverto la diffidenza da parte di chi mi ascolta. La risposta più consueta, Grazie, lo leggerò senz’altro, non estingue la mia impressione. Al contrario, la rafforza: la letteratura, sì certo, bella e importante, ma se non si ha niente di meglio da fare. Da consigliere inascoltato, rimango perplesso. La gente è più ignorante di prima? Terminate le scuole, non tocca più un libro e legge solo i post sui social? Non vuole affaticare le mente con discorsi difficili? Tutte domande, queste, che nascono dallo stesso pregiudizio: se la gente non legge, è colpa della gente. Rovesciamo la prospettiva: diciamo che oggi sono i libri a dover giustificare la loro presenza in casa nostra, se vogliono distrarci, divertirci, prendendo il posto di Instagram o di Netflix. Questo è il ventunesimo secolo, in questo secolo noi viviamo e leggiamo, ed è bene che ne prendiamo coscienza. L’insegnante ci può imporre la lettura dei Promessi sposi o del Piccolo principe, ma se accettiamo liberamente di aprire la porta a un libro deve esserci un motivo, e il libro ha il dovere di spiegarcelo, non può procedere d’autorità, nei nostri confronti. Se pretende che noi gli dedichiamo il nostro tempo, il libro deve farcelo vivere in modo diverso (divertente, appunto); se vuole che gli facciamo posto sul nostro divano, deve farci vivere quello spazio in modo estraneo rispetto alla nostra rilassata consuetudine. Si tratta di un’esperienza ludica, giocosa, ma potente, da non prendere alla leggera, perché le parole intrecciate in un testo aprono mondi, ne mettono in discussione altri, sciolgono la materia, praticano l’alchimia dei sentimenti e degli umori. Un romanzo, architettura complessa e sottile, può provocare la meraviglia, la malinconia, il disorientamento, il desiderio di fuga, può illuminare la nostra giornata o riempirci di paure. Prima di accoglierlo in casa, questo ospite sconosciuto, sarebbe quindi meglio sapere com’è fatto e perché dovremmo leggerlo. Con questa rubrica letteraria, “Il giardino delle parole”, proporremo delle letture, in questo senso, motivate: i libri come esperienza immersiva, come punto di vista sulle cose (su di noi, sugli altri) che non ci immaginavamo. Alcuni dei titoli sono celebri, e forse il lettore li conosce già; altri, non lo sono ma conservano una voce e uno sguardo sul mondo originali, e quindi meritano la nostra attenzione. Le recensioni di Matteo Mariani saranno dedicate a testi di prevalente carattere religioso che approfondiscano le vicende storiche del Cristianesimo e quelle dei suoi interpreti e protagonisti, lungo i loro personali cammini di Fede. Le recensioni del sottoscritto attingeranno invece agli orizzonti della nostra disorientata modernità, alla quale la narrativa ha prestato le sue discordanti e innumerevoli voci.

Marco Marangoni, docente di lettere polo liceale di Imola


 

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