Quest’anno, per la Quaresima, ho preferito parlare di essenzialità. Perché la parola «penitenza» forse, in questo tempo in cui la gente avverte un senso di pesantezza della vita, poteva risultare fuorviante. L’idea dell’essenzialità mi è venuta pensando agli scout, che nella nostra attività pastorale sono tanto numerosi. Ma anche pensando alle realtà giovanili della nostra Chiesa diocesana, quelle che in questo momento sono più vivaci. Vivaci proprio perché sanno proporre e vivere l’essenziale. Che cos’è l’essenziale? Essenziale non è minimalismo, nel quale uno finisce per non far niente. L’essenziale è che proponiamo un’esperienza. O la Quaresima è un’esperienza oppure finirà fra le cose vecchie, in disuso. Una tappa dell’anno, che rischia di compiacerci, ma anche di svuotarci. Perché la Quaresima sia un’esperienza è necessario che la facciamo insieme. Per questo non mi spaventa che il calendario delle proposte si infittisca, perché con la mia compagnia voglio passarci del tempo, che la mia comunità siano volti. Se la Quaresima è esperienza, vince la solitudine e l’autoreferenzialità. Preghiera, essenzialità e carità: non espressione di battitori liberi, ma di gente che riconosce di aver bisogno degli altri. L’essenziale è anche incrociare le domande più profonde. Ognuno di fatto le ha dentro di sé e non si può negare che, come affronta la vita, è già la sua risposta proprio a quelle domande. Sul piano di queste domande, mi ritrovo su chi di esperienze ne ha vissute. Gente che ha fatto cose totalmente diverse dalle mie, ma che rispondeva a quelle domande in modo onesto con sé stesso e con la propria storia. Risposte così, in fin dei conti, hanno tutte le possibilità di corrispondermi. Essenziale è cercare di fissare lo sguardo sullo sguardo di Cristo. Tornare a scoprirlo per me familiare e unico. Siamo stanchi di chi adocchia, ci punta, ci usa e poi ci molla. Quello sguardo invece rimane sempre, resta insuperato il fatto cristiano. Il Crocifisso Risorto. Mi ha colpito una frase delle Card. Francesco Montenegro il primo «Venerdì di Quaresima» a Zolino. Parlava del bisogno di una Chiesa che parli di pietre rotolate dalla porta del sepolcro». Che, così, annunci la vita. La sua vita, la nostra vita. La nostra possibilità di sperare ancora. Una Chiesa che sappia ribadire tutti gli indizi della risurrezione, che non ci sono negati, sono la sua promessa. Mi hanno insegnato a fare esperienza di Quaresima. E a fare della Quaresima un’esperienza. Per avvertire l’imporsi, su qualunque circostanza, della nostalgia di pietre rotolate via.
Don Paolo Ravaglia,
parroco di San Giovanni Evangelista di Zolino – officiale del Dicastero delle cause dei santi