Shakespeare ha sempre qualcosa da dirci, per questo torniamo a teatro per assistere a Re Lear, una delle opere più celebri e intense del drammaturgo inglese. Ferdinando Bruni, traduttore e regista, insieme a Francesco Frongia dello spettacolo ci ha spiegato: «Re Lear è la tragedia della follia. Come in una notte senza più punti di riferimento, racconta la perdita delle coordinate che hanno guidato la nostra vita», e non solo. Dal 20 al 24 novembre sul palco dell’Ebe Stignani Elio De Capitani (nella foto, di Laura Pozzo, insieme a Viola Marietti), a due anni da Moby Dick, interpreta il leggendario re britannico che deve affrontare l’arrivo dell’anzianità.
Cosa può dirci oggi Re Lear?
«Re Lear è di inizio Seicento, ma attinge a una storia molto antica, a un re leggendario vissuto centinaia di anni prima di Cristo – spiega il co-regista Ferdinando Bruni nell‘intervista che trovate nel numero del 14 novembre -. È il contenuto che risuona con il presente e con la condizione di ogni essere umano e che quindi può avvicinare gli spettatori contemporanei al testo, che in esso trovano qualcosa su cui riflettere. Quest’opera parla del passare del tempo e dell’avvicendarsi delle generazioni. Lear deve accettare di essere invecchiato e di dover rinunciare al suo ruolo. La sua illusione è pensare di poter abdicare mantenendo intatte alcune prerogative che l’essere re gli conferiva. Emerge quindi la difficoltà del passaggio di consegna, alle generazioni successive, del potere. Non solo i giovani devono imparare dagli anziani, ma deve accadere anche il contrario, e per questo serve umiltà. Questa tragedia ci parla di una perdita di rapporto con i figli, non solo in senso familiare ma anche artistico».
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