Quattordici facchini da una parte e 21 operai dall’altra si fronteggiano ai cancelli dell’azienda che per tutti è l’unica sede di lavoro e l’unica fonte di reddito. Da giorni i primi paralizzano la produzione impedendo ai secondi di accedere allo stabilimento. Gli uni protestano perché hanno perso il lavoro, gli altri rischiano di perderlo ora, se il braccio di ferro non si concluderà prima che i clienti revochino le commesse. È la piccola storia di una piccola vertenza di provincia, quella della Mirror Levigature di Sant’Agostino, terzista satellite del colosso Ceramiche Sant’Agostino.
Eppure questa guerra tra poveri finita l’altro ieri a botte e cariche di polizia, in un’azienda che ha perso il 20% del suo giro d’affari e ridotto di un terzo i dipendenti dal 2012 ad oggi, racchiude in sé quasi tutti i tasselli di un puzzle grande come la crisi del sistema Italia: calo dei fatturati, sfruttamento del lavoro, disinvolta gestione contrattuale, esternalizzazione selvaggia, polverizzazione della rappresentanza sindacale. E perfino xenofobia dal momento che i 14 facchini sono nordafricani e per questo oggetto di una pronta censura dal segretario della Lega Nord, Matteo Salvini. Alla Mirror, ed esclusivamente al cliente unico Mirror, la squadra di extracomunitari lavorava da anni, pur con un’altra casacca, quella della cooperativa di facchinaggio bolognese LK. Guadagnando 6,39 euro all’ora, con orario ridotto e parte della retribuzione sotto forma di diaria.
Erano insomma braccia sottopagate, con quello stesso stratagemma della «cooperativa di servizi» visto mesi fa nella vertenza Granarolo. La Mirror ha disdetto l’appalto per «gravi inadempienze contrattuali». Aveva fatto lo stesso altre volte e da ultimo nel 2012, quando la cooperativa LK scalzò la cooperativa Golden, riassorbendone peraltro l’intera forza lavoro. Stavolta, invece, la coop subentrante, la Msz di Milano, ne riassumerebbe solo tre. I nordafricani sono rappresentati dal sindacato autonomo Sicobas; le maestranze in organico alla Mirror dai sindacati confederali. Questi ultimi in evidente imbarazzo, nel tentativo di salvare capra e cavoli.
È un copione già visto, scritto fin dai tempi delle prime crisi Alitalia, quando la compagnia era dilaniata fra la frantumazione delle funzioni aziendali e la polverizzazione delle sigle sindacali. La Mirror non è l’Alitalia. Ma è lo specchio di una gran parte d’Italia. Dove in nome della flessibilità dilagano gli spezzatini aziendali e le catene di appalti e subappalti fittizi per cruciali fasi del ciclo produttivo. E dove la conflittualità sindacale è soprattutto conflittualità tra sindacati, tutti in crisi di rappresentanza.